Anno 2003
 
 

Finalmente un anno un po’ meno affannoso. Cominciò bene. Con una mia bella lettura brancatiana, cui diedi titolo Brancati e la Donna, per l’inaugurazione dei “ Lunedì del Teatro Argentina”. Era il 27 gennaio 2003.

Poi ci furono i rapinosi mesi di lavoro con i miei Musici, per costruire quello che sarebbe stato per me l’avvenimento artistico forse più soddisfacente, certo più “totale”  della mia vita:  Anna dei Pianoforti.Anna dei pianoforti

I miei Musici, li chiamo, con l’orgoglio di un duca del Rinascimento, o di un qualche principe arcivescovo salisburghese. E loro non si offendono. Anzi, fanno le fusa come i gatti.
Loro sono Cesare Scarton e Mauro Tosti-Croce,  musicologhi; e Antonio Sardi de Letto, pianista.

Era tanto tempo che coltivavo l’idea di trovare un melologo adatto a me. Io adoro la musica, credo che a questo punto si sia capito. Però non sopporto la musica come “sottofondo” delle parole. Il mio ideale è l’interazione fra la voce recitante e uno strumento, la fusione di parola e suono, il melologo, appunto.

Non sapevo bene a chi rivolgermi e mi limitavo a lampeggiare in giro dei segnali in proposito. Dopo un po’ i segnali furono captati da Cesare Scarton, musicista, insegnante al Conservatorio, autore di un saggio fondamentale proprio sul melologo.

Cesare mi propose una serie di famosi melologhi romantici: “Enoch Arden” musica di Richard Strauss, testo di Tennyson;  la “Lenore” di Liszt; “La bella Edwige” di Schumann. Non mi convincevano; roba vecchia, datata, anche musicalmente pregevole, ma i testi…le storie! Io scuotevo la testa e Cesare la scuoteva con me. Anche lui non era convinto.

Poi un bel giorno se ne venne fuori con un’idea folgorante: La pianessa di Alberto Savinio. Fu per me un amore a prima vista.

Conoscevo abbastanza bene Savinio; avevo letto in un Convegno su di lui a Firenze, indetto dal Vieusseux, la sua Isadora Duncan  (che poi avevo letto anche al Festival di Todi), ammiravo la sua prosa così sapiente, fantasmagorica, ricca di umori dissacranti e di brividi surrealisti.

Ci mettemmo subito al lavoro. Bisognava trovare almeno altri due racconti che avessero per protagonista un pianoforte: eccoli lì, dello stesso Savinio, Pianista bianco  e Vecchio pianoforte, con musiche indicate dall’ autore stesso. Savinio, come si sa, era anche musicista, diplomato al Conservatorio, e pittore (più pregevole, a mio parere, del suo più famoso fratello De Chirico).

Antonio Sardi andò a Firenze dove al Vieusseux, nel Fondo Savinio, trovò delle sue musiche originali e mai eseguite. Ottenne il consenso a ricopiarle dagli eredi di Savinio, i suoi figli Angelica e Ruggero. (Mi ricordai che qundo eravamo ragazzine con Angelica andavo a lezione di danza dalla amata Raja Garosci, ed ero anche stata a casa sua , dove una volta avevo intravisto suo padre, Alberto).

Con Mauro lavorammo sui testi dei tre racconti, ridimensionando qua e là , dando a volte un taglio più teatrale a certi dialoghi ecc. Quando tutto il materiale fu assemblato, cominciammo a provare.

Le prime letture le facemmo a casa mia; ma quando si ebbe bisogno del pianoforte io dovevo spostarmi o da Cesare o da Antonio. Un inferno.

Tira fuori la macchina, parcheggia la macchina…Oppure chiama un taxi …e non lo trovi. E allora: tira fuori la macchina, parcheggia la macchina…

Da notare che lavoravamo senza nessuna commissione, senza la più pallida idea di dove e quando il nostro lavoro avrebbe potuto vedere la luce ed essere in qualche modo ricompensato.

Ma io ero in estasi, e sentivo che i miei tre compagni lo erano con me.
Eravamo capaci di stare quattro ore su due righe di racconto e poche note di musica. Rifacendo, rifacendo, rifacendo finché la fusione di parole e suono non era perfetta. Io sono una perfezionista pignola, ma avevo finalmente trovato tre compari che non erano da meno.

E in quelle quattro ore niente del mondo esterno o dei miei fatti privati (tragedie, scocciature, complicazioni, burocrazia, malesseri, scadenze, rimorsi, paure, speranze, ricordi) riusciva penetrare nella mia mente e nel mio spirito. Hic et nunc. Ero tutta lì, su quelle due righe e quelle poche note.

Quando recito un testo teatrale non mi succede. Anzi. La porta della psiche si spalanca e ci entra di tutto, in modo spesso malsano. Da indagare.

Alla fine dell’estate chiesi ad Albertazzi se poteva ospitare per qualche giorno la nostra Anna dei Pianoforti all’Argentina. Disse subito, come fa sempre con chiunque gli proponga qualcosa: “Sì,sì,certo! Certo!...” . Poi ci offrì qualche giorno intorno a Natale (periodo orribile) . Infine,  grazie a Antonietta Rame, da decenni Spirito Tutelare dell’Argentina, ottenemmo qualche giorno a Ottobre.

Debuttammo il 9 ottobre 2003.  Un grande successo. Che si ripeté per tutte e quattro le repliche.

La diapositiva di uno splendido quadro di Savinio, Fleurs étranges, ci faceva da sfondo. Per citare il programma di sala, scritto da Cesare e Mauro: “….parola, musica, immagine si intrecciano in una trama di rimandi espressivi, verso un naturale approdo dove il molteplice diventa miracolosamente unità.”

Anna dei Pianoforti  cominciò qui il suo viaggio. Che proseguì a Bologna nel Chiostro di S. Stefano nell’estate del 2004; il 28 gennaio 2005 al Teatro Studio di Milano per la fondazione  Scala;  nel giugno 2005 al Teatro della  Pergola di Firenze per il Maggio Musicale; il 21 aprile 2006 a Livorno e Quarrata. Il prossimo novembre 2006 saremo a Monaco di Baviera.

Fra un’estasi musicale e l’altra non ero stata con le mani in mano.

Mia figlia Antonia mi aveva chiesto di fare la regìa di un suo testo, Safari, per la compagnia  Misasi-Terrinoni. Il testo mi piaceva molto. Anche qui niente di autobiografico, tranne la situazione iniziale. Anche noi ci eravamo impantanati, anni fa in Africa, nel Serengheti, senza alcun mezzo per chiamare soccorsi. E un personaggio femminile, aveva avuto, come Antonia,  un’operazione al seno per un tumore. A parte questo, personaggi di pura fantasia.

Lavorai tanto, con gli attori, con molta passione e molta energia. La scena, molto suggestiva, era di Alberto Verso. Lo spettacolo che andò in scena a Roma, al Valle, il 6 giugno 2003 , per l’Associazione operati al seno, aveva un suo fascino, mi sembra. Bellissime le luci di Stefano Pirandello e geniale la colonna sonora di Arturo Annechino.

Quando Safari fu ripreso in autunno a Parigi, per il Festival del teatro italiano, era assolutamente irriconoscibile. Io e Antonia ci vergognammo. Fece poi un piccolo giro in Italia, e quando tornò al Valle, nel dicembre 2003, io chiesi, tramite avvocato, che togliessero il mio nome. Non lo fecero. Io ebbi un rigurgito di stanchezza e lasciai perdere. Peccato, però.

Per chiudere in positivo i ricordi di questo 2003, due bei Recital: Poesie e lettere d’amore. Il 22 luglio a Bologna, piazza S.Stefano; il 28 novembre al teatro di San Marino.

A Bologna, seduti in prima fila, Gerardo Veronesi, il grande gioielliere che aveva fatto con me al Galvani le prime tre classi del ginnasio, prima di diventare il tombeur di tutte le femmes di Bologna e Cortina; e accanto a lui Anna Majani, amica più recente ma ugualmente cara, melomane anche lei, generosa, affettuosa, che ad ogni mia visita a Bologna organizza nella sua splendida casa sontuose cene in mio onore.

La nuova casaNo, un’altra nota positiva. Poiché Antonia aveva cambiato casa, io comprai il piccolo appartamento che aveva accanto a me. Feci buttare giù i muri e mi allargai un bel po’.

Progettarono i lavori e poi l’arredamento, con la consueta sapienza, Noemi e Claudio Corradi, miei amati amici e architetti.

La casa e il giardino furono per tre mesi orribilmente invasi dalle macerie. Cumuli insospettabili di macerie. Io vissi per tre mesi in un Residence qui vicino, sulla Cassia, e venivo a casa solo per sorvegliare un po’ i lavori e prendere qualcosa che mi serviva.

Il 14 febbraio 2004  diedi una grande Cena d’Inaugurazione della casa ristrutturata. Casa in cui troneggiava (si fa per dire, perchè è un piccolo verticale) un bellissimo pianoforte!!!

 
 
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